Stava sospeso a due metri da terra. Il baricentro perfettamente allineato con l’equatore della parete. Un paio di persone lo guardavano dal basso provando a convincerlo che poteva farcela. Lui però non aveva alcuna intenzione di muoversi. Né verso il basso né verso l’alto. Troppo orgoglio per buttarsi giù e troppa paura per salire ancora più su. Aveva deciso di restare lì a metà. Forse tutta la vita o almeno finché non gli si staccavano gli avambracci. Nel limbo tra una prestazione atletica trionfante e una deludente. Non guardava in nessuna direzione se non quella della parete grigia di fronte a lui. Gli sembrava un ottimo momento per tirare le somme della propria esistenza. Sulla parete ruvida, tra i piccoli solchi e le scanalature, penetravano tutte le sue domande. Restare lì, con gli avambracci duri come il pane di dieci giorni, stava diventando un momento di meditazione. Un atto di rivoluzione esistenziale. Che cosa vuoi fare nella vita? Voi ridurre il tuo consumo di carboidrati giornaliero? Te lo fai quel viaggio in Perù?

Le persone a terra non se ne curavano più. Aveva piantato i suoi pensieri-semi nei solchi della parete e suoi arti erano radici, il corpo un tronco perfettamente integrato con la parete. Tra le scanalature però non sbocciava nessuna risposta. Solo braccia che tremavano e calli sulle dita. Faceva qualche piccolo movimento per sentire che aveva ancora un corpo e del sangue che pompava. Non sapeva nemmeno più da quanto era lì. Abbandonato e solitario come in Castaway ma l’incidente era avvenuto tutto nella sua testa.
Nell’indecifrabile meccanismo del ricordare, gli si spianava un’immagine nella mente. La morte del suo primo pesce rosso. Aveva forse sette anni e non era andato a scuola per un attacco di diarrea. Il pesce rimase per tutta la mattinata nella boccia a pancia in su. Lui aveva capito che era morto. Era un bambino furbo. Il pesce rosso non faceva più BLOB BLOB. La madre lo tirò su col retino e lo posizionò in una scatola di fiammiferi vuota. Sembrò un’operazione chirurgica. Naturalezza e freddezza paragonabili all’estrazione della crostata dal forno. Provò qualcosa in quel momento? A parte la pancia indolenzita, non lo sapeva. Nemmeno un nome gli avevano dato a quel pesce. In fondo mica lo doveva chiamare? Le loro interazioni si limitavano a uno scambio di sguardi vuoti e al BLOB BLOB che faceva quando lui picchiettava col le dita sulla boccia. Fu seppellito in giardino. Chissà se era ancora lì.
Stava cambiando canale ai suoi ricordi e tra le immagini che scorrevano gli era venuto fuori l’esame di matematica alla maturità. Aveva somatizzato l’ansia con un attacco di diarrea. Sì, ancora quella cosa lì. La sua mente stava utilizzando un filo conduttore della memoria abbastanza bizzarro. Stava forse per arrivare un nuovo attacco di mal di pancia per farlo staccare da quella parete? L’esame era comunque andato bene. Era sempre stato bravo in matematica… fino alle superiori; poi non aveva più brillato. Non gli era chiaro il momento in cui la sua luce si era spenta e aveva continuato ad andare avanti per inerzia; spinto dal peso di un accumulo di roba, tra impegni, scelte e situazioni un po’ sue e un po’ messe da altri. Questo peso si stava trasformando nella cosa più scomoda da tenere in cima a quella parete. Più degli avambracci durissimi, più delle gambe tremanti.

Si era accorto che ormai il resto delle persone era sotto la doccia. A breve le luci si sarebbero abbassate. Qualcuno gli avrebbe gridato di scendere da lì e muoversi; ma perché doveva continuare a fare gesti convenzionali? Salire. Scendere. Dare un nome a un pesce rosso. Dispiacersi per qualcuno che muore. Andare a lavorare. Prendersi la birra grande al pub. Scegliere vestiti dai colori abbinati. Votare alle elezioni il meno peggio… Nel più alto momento di elaborazione del suo nuovo Manifesto della Rivoluzione Esistenziale le radici avevano deciso di cedere. Un insignificante volo di poco più di due metri e un atterraggio sulla schiena. BLOP aveva risuonato il materasso steso sotto di lui.
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