Viaggiava da sette mesi Cristina. La madre non ci credeva nemmeno più quando le scriveva che sarebbe tornata presto. In fondo, doveva tornare presto da sette mesi; poi Cristina aveva fatto autostop, conosciuto altra gente e si era abituata anche a cacare sui treni. Chiamava le salviette per bambini, il bidet portatile. Una grande invenzione del genere umano.
Cristina, sette anni a lavorare per sette mesi di viaggio. Voleva andare oltre, magari sfondare l’anno. Cercare altri divani che l’ospitassero, ostelli da trenta letti a camera con due bagni, sediolini di bus e treni abbastanza comodi per passarci la notte… Non voleva e non poteva dire che si era sentita più viva in quei sette mesi che nei sette anni precedenti. Si sentiva solo diversa. Se prima nel posto a fianco a lei ci metteva lo zaino, ora lo lasciava vuoto. Aveva dato un nuovo valore alla probabilità di un incontro. Se prima diffidava, ora favoriva.
Alla fine di maggio, per scappare dalla pioggia di Tolosa, si era messa su un treno per Bordeaux; come se avesse sviluppato un sesto senso del viaggiatore, Cristina sentiva con piena certezza che la prossima meta l’avrebbe accolta con un pomeriggio di sole. E così era. Mangiò un altro pezzo di pane con l’hummus, affacciata al fiume di cui non conosceva il nome. Bordeaux, una bellissima città borghese. Questa la sua impressione, maturata nel cammino tra la stazione e l’ostello.
Stavolta si era permessa un lusso. La stanza a quattro letti. Sognava otto ore di sonno nette. Meno gente che russa. Meno gente che torna alle cinque di mattina sgranando mascelle e con equilibri precari. Questo era il suo lusso da trenta euro a notte. Colazione non inclusa. Tirò su per due piani di scale il suo zaino. Una stanza due per due, già tre letti occupati. Non poteva sbagliarsi sul suo. Fece il check cimici da letto. Tutto apposto. Si erano fatte le nove di sera e la stanchezza scese come quel fazzoletto di lucine lontane che vedeva dalla finestra piazzata sul tetto della stanza. Non aveva più pane e hummus. Non aveva più fame. Un messaggio alla mamma. Tutto bene, sono a Bordeaux. Bella città. Una storia su instagram dal finestrino del treno di campagne francesi.
Aveva il treno presto per Parigi. Andava a trovare Monia, una ragazza mezza marocchina che aveva incontrato a Madrid. Due belle notti a scrocco. Non c’era niente di male nel mettersi già a dormire. Andò nel bagno privato della camera. Che lusso. Niente peli pubici sul bordo della tazza o sul piatto della doccia. Se ne fece una bella calda con la saponetta scrub e un flacone di shampoo abbandonato da qualcuno una settimana prima, in un bagno d’ostello a Girona. Era una Cristina nuova. Una persona pronta e fresca per otto ore si sonno.
Nel silenzio fatto d’assenza di gente che russa, risuonò la sveglia di Cristina. Da qui si consumò la scoperta che avrebbe cambiato tutto il suo viaggio e la sua vita. Dov’erano i suoi occhiali da vista? Ricordava di averli lasciati sul lavandino del bagno. Niente. Erano le sei del mattino. La memoria non del tutto ancora sveglia e funzionante lasciò spazio al panico. Gli indiziati erano solo quei tre ragazzi che dormivano senza russare. Scavò nello zaino dieci volte. Niente. Chiese alla reception. Niente. Aveva tre gradi di miopia e una indefinita dose di astigmatismo.
“Buongiorno. Scusate se vi sveglio” che cazzo di lingua doveva parlare? Inglese andava bene per tutti? “Ho perso i miei occhiali da vista. Li avevo lasciati in bagno. Li avete visti?”
“Hai chiesto in reception?”
“Si”
“Non li ho visti”
“No,no”
“Quanti gradi porti? Ho delle lenti a contatto…” niente. Per la prima volta da quando era uscita di casa sette mesi fa, Cristina si sentiva distrutta. Tutte le cose erano fuori fuoco a più di due metri da lei. Forse quei tre cospiravano contro il suo viaggio. Forse era un piano dell’intero ostello. Il treno partiva tra trenta minuti. Fanculo. Ladri. Maledetti. Pianificava una pessima recensione sul tram verso la stazione. Per leggere i tabelloni con gli orari dei treni, usava lo zoom del cellulare. Tutto bene. Il treno non era perso. Si calmò quando fu cosciente che poteva trovare alternative a una buona vista.
Sono appena partita. Aveva mandato un messaggio a Monia. Si fece un’ora di sonno poi le si aprì un mondo nuovo. Fuori al finestrino, a correre in direzione opposta al treno, ci potevano essere prati di lavanda come un pianeta dai laghi violetti. Le persone sedute a due file di distanza erano tedeschi in vacanza come nuove forme di vita sulla terra. Tutto era simile a tutto. Tutto, nella sua forma più sfocata, senza contorni definiti, a distanza di due metri rappresentava qualcosa di nuovo. In principio Cristina prese questo potere come qualcosa di troppo grande; tanto da finire nel primo ottico parigino a chiedere un paio di occhiali nuovi. Ci volevano quattro giorni e duecento euro. C’era una scelta da fare. Tornare dove i colori sono nitidi e volti chiari o abbracciare il nuovo mondo. Alla fine non ci voleva nemmeno stare troppo tempo da Monia. Viva il nuovo mondo allora.

Delle strade di Parigi aveva letto e le avevano parlato ma gli occhi di Cristina ora potevano creare una magia diversa. La tavolozza degli artisti su Montmartre si rovesciò tutta su una tela senza traccia. I volti di tutte le persone sedute ai caffè, esplodevano in espressioni che non erano mai esistite. Nella Senna nuotavano barche, pesci a motore ed altri animali fantastici troppo brillanti sotto il sole per dargli un nome. Cos’era vero? Tutto quello che le dicevano i suoi nuovi occhi.
Dove sei? Sei arrivata? le scrisse Monia. Non rispose subito perché sapeva di non poter condividere con altri ciò che altri non potevano nemmeno immaginare. La realtà attraverso il filtro dei suoi nuovi occhi. Arrivata dove poi? Quella non era più Parigi. Era una città dove i palazzi non finivano col cielo e il cielo non cominciava dai palazzi.
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