Cronache di frontiera
Dopo aver fatto una pessima rappresentazione dell’attentato di Sarajevo e aver sviluppato un odio profondo per i tipi in gommoncino sotto al ponte di Mostar, decidiamo che è tempo di ritornare al mare e risalire la costa croata. Il mio portafoglio resta in un punto indefinito tra Zagabria e Sarajevo e così la mia patente. Ho perso il diritto di guida molti chilometri fa e mi prendo l’onere di fare da navigatore. Dino alla guida. Tullio schiantato in uno dei sedili di dietro. Sciolti sciolti, ci mangiamo la strada con gli ultimi börek rimasti. I marchi non ci servono più e si convertono presto in pacchetti di sigarette senza immagini di piedi in cancrena.
Nell’ora che ha già fatto partire i lampioni estivi, siamo alla frontiera. Sul fronte bosniaco scivoliamo senza attrito. È la Croazia che ci frega. La paletta si agita sotto la mano di un agente croato serissimo. Ha il giubbotto antiproiettile con la scritta in petto POLICIJA.
Accostiamo dove ci indica quella paletta, sotto la luce di una frontiera ai neon.
Siamo sempre sciolti sciolti e non abbiamo paura. Non abbiamo fatto niente di male e non abbiamo niente da nascondere. Siamo coscienti di essere un target perfetto per la paletta infame del fronte. Un camper che arriva dalla bosnia. Tre italiani. L’igiene poco presente. Dove state andando? La risposta non è banale perché sostanzialmente la nostra idea è girare a cazzo fino a un punto che ci vada bene. Non sembra però una risposta per un poliziotto di frontiera. Diciamo allora Spalato. I poliziotti diventano due. Dobbiamo scendere dal camper. Restiamo così in piedi a guardare una fila di macchine rientrare in Croazia senza troppi problemi. Qualcosa da dichiarare? Solo una decina di pacchetti di Marlboro. Nessun problema. Altro? No. Sicuri? Si. Parte il primo pippone. Più o meno me lo ricordo così. La legge croata è molto severa. Faremo un controllo. Se troviamo noi qualcosa vi arrestiamo e pagate una multa. Roba di diecimila euro e quattro anni di galera. Se ce la consegnate voi solo una multa di trecento euro. Lo sottolinea bene trecento euro. Mi viene il dubbio che voglia subito soldi. Roba di corruzione alla frontiera. Non è una mossa che mi sento di fare. Comunque non abbiamo nulla. Controllate pure. Controllate tutto. E tutto hanno controllato.
Il poliziotto paletta ci dice di seguirlo. L’altro entra nel camper con una torcia a scavare tra i nostri asciugamani bagnati per trovare qualcosa di malvagio. Paletta canta ancora la sua canzone. Si aspetta una confessione. È certo della nostra colpevolezza.
L’ufficio della frontiera è la patria del movimento minimal. Un tavolo. Nemmeno un calendario al muro. Seguimi. Ce l’ha con me. Entriamo in un cubotto minuscolo. Togliti i vestiti. Sono così sciolto e abituato alle perquisizioni che non mi faccio nemmeno il problema se è necessario togliermi pure le mutande. Vestiti. Dev’essere rimasto disgustato per la rapidità in cui lo dice. Tocca a Tullio. Dino invece è magicamente salvo. Ha forse visto abbastanza cazzi senza manco un pelo di droga. Bisogna tirare fuori le valigie. Tocca ancora a me. Non è manco la mia valigia ma a paletta non importa. Qui inizia il suo gioco psicologico da poliziotto di frontiera. Siamo solo io e lui al tavolo dell’ufficio a scartare un trolley. Tra il deodorante e il dentifricio mi chiede se fumo. Si, sigarette. Altro? Ho provato l’erba. Quando l’ultima volta? Mesi fa. Sono un bugiardo. In Bosnia? No. Torno ad essere sincero. Un’altra volta la stessa canzone. Aggiunge che verranno i cani. Che ci faranno un test. Agli altri tocca lo stesso destino.
L’amico di paletta trova qualcosa. Un indizio. Una prova per loro inconfutabile della nostra colpevolezza. Un mio borsello dimenticato da dio. Ci tengo un vecchio tabacco e altra monnezza che non mi andava di buttare per terra. Siamo lì ad osservare ogni cosa che pesca da lì dentro. Dino diventa l’avvocato di difesa e per ogni ritrovamento cerca un alibi plausibile. Ci sono vecchi mozzoni spezzati. Poi filtri per i drummini. For sigaretts. Tira fuori le cartine corte. Sigaretts. Ecco un pacchetto semidistrutto di cartine lunghe. Long sigaretts. Una battuta non gradita. Torniamo in ufficio. Siamo già trafficanti. Io e Tullio torniamo ancora una volta nel cubotto. Dino ha ancora il repellente per il cubotto. Non siamo più così sciolti. C’è il dubbio pressante di esserci dimenticati qualcosa. Una pietruzza. Un filo d’erba. I poliziotti giocano la carta royal rumble. Mi ha detto il tuo amico che qualcosa forse potremmo trovare. Dicono a Tullio. L’amico sono io ma non ho detto un cazzo. Non cediamo. Non riescono a metterci uno contro l’altro. Ci cantano ancora il pippone. Maledetti. Dicono che se il test rileva anche uno 0,0001% di droga siamo fritti. Galera. Multa. Vita rovinata. Ma che cazzo di test è? Questa percentuale di droga si può trovare pure su Cristo, figurati su di noi. La logica non ci aiuta e in quel momento il panico comincia a indurirci le chiocche. Dino è pronto a giocarsi la carta Farnesina. Tira fuori il telefono per la testimonianza audio-video. Manco il tempo il tempo di far riconoscere la sua faccia dall’iPhone che spunta un terzo poliziotto. NO PHONE super incazzato.
Mi portano dentro al cubotto per una terza volta. Un cliente abituale ormai. Location minimal. Pessimo personale. Siamo io e l’amico di paletta. Tira fuori il manganello e lo comincia a far flettere spingendone la punta sul tavolino. Non riesco a far altro che immaginarmelo su per il culo a completare l’ispezione. Vedo il mio futuro. Una vittima alla frontiera. Un mistero di cronaca internazionale lungo vent’anni. Un biopic dedicato tipo Sulla mia pelle. Elio Germano con qualche accorgimento di make-up che mi interpreta magistralmente. Il manganello si flette ancora una volta. Dimmi la verità. Qui parte il mio monologo. Breve ma intenso. Ho quasi trent’anni. Non sono così stupido da girarmi le frontiere di mezza Europa carico di droga. Non voglio vivere il resto della mia giovinezza in galera. Il manganello si ferma. Usciamo dal cubotto. Dino e Tullio vedono la mia faccia bianca. Manganello va da paletta. Si parlano. Manganello torna da noi. Ci porge i nostri tre passaporti. Ho detto al mio collega che non vi faremo il test. Potete andare.
Forse sono stato bravo come Elio Germano.
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