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BORROUEL non è straniero

Immagine del redattore: Antonio CastielloAntonio Castiello

Non è la marca del prodotto in offerta o il paese sulla costa della Francia del Nord. Non è la parola, il segno, il gioco o il vestito. BORROUEL non è il cappello messo storto di un vecchio o l’enigma sul libro di cruciverba. Non è il cantante che ascolti o che non hai mai sentito. Nemmeno quel tizio di cui un giorno hai sentito o sentirai parlare.



BORROUEL non lo trovi scritto sui pezzi di carta perché si pronuncia solo nella testa di BORROUEL. Tutto maiuscolo, stampato sul fronte del suo cervello.


Non sa come ci si sia finito lì, non ci sono ricordi se non questo BORROUEL. Non dorme mai perché nessuno lo vede dormire o rientrare in qualche posto che possa essere la sua casa. Continua a muoversi ininterrottamente come una lenta metropolitana 24/7, slittando sui lunghi binari dei miliardi di occhi della città. Non fa fermate BORROUEL, è un treno per uno. Non parla perché nessuno mai l’ha sentito o chiesto qualcosa. Potrebbe essere venuto fuori da una pozzanghera di Marzo o caduto dal cielo di un Giugno di 5, 10 o 100 anni fa; così come la sua destinazione tanto ignora la sua origine.


BARROCUEL certe volte cambia senza sentirsi qualcun altro; quando entra in un bus lascia il suo stampo sul cervello e tutto scorre su tutti quei volti in fila per andare da qualche parte. Non invidia e non stima, scorre e poi torna in fretta BORROUEL.

Non esiste nel XXI secolo perché non ha mai acceso un computer o fatto un login su qualche account. Nemmeno sa se esiste su qualche registro dell’anagrafe. Nella giacchetta o nel portafogli non ha foto o documenti che possano disegnare le sue tracce. Il suo unico vizio è controllare tra i sedili dei bus se qualcuno ha perso qualcosa o magari ha lasciato un messaggio, come quelli nelle bottiglie di vetro lasciate nell’oceano. Non ne ha altri o forse ne ha ma comunque a non importano a nessuno.Ha le dita sottili e le infila tra i sedili senza nemmeno guardare. Quando trova dei soldi va al supermercato a comprarsi del pane. Quando trova degli auricolari se li infila nelle orecchie fingendo che il silenzio sia la musica più bella che c’è. Balla per tutta la città e il suo ballo è camminare senza fermarsi più. Quando trova sigarette le lascia lì. Quando trova fermagli se li infila nella giacca, ormai ne ha 103. Quando trova anelli o delle chiavi, esce dal bus e li infila sul ramo del primo albero o pianta che trova.Le persone perdono patrimoni dalle tasche quando si siedono sul bus e questo è uno dei postulati della filosofia di BORROUEL. Quando trova fazzoletti di carta, prova a farne dei fiori e li lascia sotto i tergicristalli delle macchine parcheggiate.


BORROUEL non vede le cose come valori ma come ingranaggi che lui stacca da un meccanismo e li incastra in uno nuovo tutto suo; allora i fermagli nella tasca camminando fanno una colonna sonora e la carta sporca è il seme di un fiore su un campo di automobili.

La sua logica particolare è pur sempre un sistema. I sistemi si complicano quando si inseriscono nuove variabili ed è il 17 Maggio che il sistema BORROUEL va oltre i soliti e semplici oggetti tra i sedili di un mezzo pubblico: un cellulare. BORROUEL non è un idiota, sa a cosa serve e sa che è un ingranaggio importante. Continua a vedere gli altri stringerlo tra le mani e guardarci dentro.

Lo mette in tasca, nessuno gli dà importanza e va fuori dal bus. Deve aspettare, per lui quel ingranaggio non gira nella sua tasca ma non sa nemmeno dove posizionarlo. Alle cose nuove di solito trova un loro posto spontaneo. Quando trovò un paio d’occhiali li smontò tirando fuori le lenti, tenne la montatura appesa al colletto della maglia e le lenti le fece schizzare sul letto di un fiume come si farebbe coi sassolini.Un telefono a lui sembra diverso e non avrebbe schizzato sul fiume. Sarebbe andato di certo giù al primo colpo.

Tre ore su una panchina. Senza riflettere o chiedere a sé stesso qualcosa. BORROUEL è un disco che gira senza traccia. Dopo la panchina si mette ad aspettare davanti alle immagini di 34 televisori; 34 perché a BORROUEL piace tenersi informato sui numeri precisi degli ingranaggi che gli si girano intorno. Sta di fronte a questi, in un grande negozio di un centro commerciale. Senza interessarsi né delle voci degli altoparlanti né delle conversazioni che gli passano di fianco. Solo le immagini contano nell’universo BORROUEL. Dozzine di altri cellulari esposti in quel negozio non hanno il minimo valore per lui. Non hanno un’anima come quello nella sua tasca. Quelli sono schermi neri con la memoria vuota.

BORROUEL non è uno stupido, lui lo sa. Nella sua tasca c’è uno spazio di memoria di qualcuno: chiamate, messaggi, foto… per lui non ha valore niente ma per qualcuno il valore esiste e se per qualcuno quella cosa ha memoria allora è importante.


BORROUEL se non prova qualcosa cerca di capirla, in quella sua tasca non vede lo schermo o i pulsanti ma qualcuno che cerca o cercherà; qualcuno preoccupato o che ingenuamente ancora deve accorgersene. In testa gli passa per un attimo la probabilità che qualcuno l’abbia messo apposta tra i sedili di quel bus per le dita di BORROUEL o forse soltanto abbandonato per voler dimenticare. In fondo cos’era più dimenticato in quella città di BORROUEL? Perfino lui non si ricordava di sé.

Il cellulare ha una piccola spia rossa che continua a lampeggiare. BORROUEL preme un pulsante e lo schermo s’accende, capisce in fretta come sbloccare la tastiera. Nessun messaggio, nessuna chiamata. Musica. Quasi gli viene un infarto quando messo il dito su un piccolo triangolo quel coso comincia a suonare. Si ricorda di avere un paio di cuffie, funzionano e BORROUEL non danza più nel silenzio. Gli ingranaggi cominciano a incastrarsi in una logica comune. Non c’è più silenzio per BORROUEL. Non capisce quello che cantano e non sa dire nemmeno se gli piace o meno. Gli pare che qualcuno stia parlando proprio a lui. Cammina per tanto tempo e non si ferma più. Pensa che tutto quel tempo, prima della musica, l’avesse passato sdraiato su un letto a contemplare il soffitto. Si mette a correre quando sembra che la musica voglia accelerare e mentre sembra non avere più fiato in corpo la musica smette di suonare. Una chiamata. BOROUVEL, BONOVEL, BONEL… trema, non sa chi, cosa, quando e il cervello gli vibra all’unisono con la tasca. Si ferma. C’è un numero sullo schermo. Non c’è più la musica.



“Si” BORROUEL parla.

“Credo che lei abbia trovato il mio cellulare” BORROUEL fino a quel giorno stava impiantato sulla terra del silenzio, un attimo di musica  aveva sfasciato la sua intera esistenza da  soprammobile urbano  e quella voce spaccò il cielo di BORROUEL. Lui risponde sempre e solo si, come se ogni frase, domanda, sibilo o risposta fosse  l’invito alla vita più bello che esista. Le sue dita sottili, tra i sedili di un autobus avevano grattato il paradiso.

“Si… posso portarlo alla polizia e lì lo vai a prendere…”

“No no! Tu dove l’hai trovato?”

“Tra i sedili dell’autobus”

“Io questo lo trovai per strada, qualcuno lo aveva lasciato lì… a me ne serviva uno e l’ho preso. Purtroppo adesso l’ho perso…” BORROUEL non è stupido ma ingenuo. Crede adesso che quella scatola appoggiata all’orecchio sia destinata a legare milioni di dita infilate tra i sedili di altri milioni di autobus, come un ingranaggio che da sempre era esistito e che, per una romantica magia, scivolava tra una voce e l’altra.

“Cosa devo fare?” BORROUEL ha il cuore che gli batte forte e gli si strozza quasi la gola a parlare.

“Potremmo incontrarci da qualche parte”

“Si, si” BORROUEL sogna già d’ascoltare quella voce in milioni di storie senza più correre da nessuna parte.

“Posso venire a portartelo anche adesso, basta che mi dici dove sei…”

“Adesso non posso, arriva un cliente e tra poco inizio a lavorare”

“Mi dice lei quando finisce, io non ho orari e mi dispiace lasciarla senza telefono”

“Purtroppo non ho orari precisi, di solito lavoro di notte.”

“Dev’essere difficile, che lavoro è?”

“Sembri un ragazzo molto gentile, mi piacerebbe fermarmi a parlare con te ma non posso.”

“A me piacerebbe ascoltarla…”


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