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Berghain a colori

Immagine del redattore: Antonio CastielloAntonio Castiello

Breve cronaca di una solitaria Berlino


L’ostello a Berlino. Stanza a 8 letti. L’unica persona al mio arrivo è un tipo che legge il giornale. Parla solo tedesco. Avrà forse settant’anni e in bocca quindici denti. Non so perché si convince del fatto che io possa capire perfettamente tutto quello che borbotta. Lo so qual è il mio letto. C’è scritto sul biglietto che mi han dato alla reception. È il numero 6 ma c’è tutta la roba sparsa di un'altra persona. Io forse ero anche più stronzo che glielo stavo a spiegare. E che cazzo. Prendo il numero 4.

Tanto meglio. Almeno un letto a castello di distanza da quell’uomo ambiguo. Di male in peggio quando vedo il suo culo dalla mutanda squarciata mentre va in bagno. Benvenuto a Berlino. Vorrei tanto essere altrove, andrebbe bene pure la stanza di fianco. Vorrei che quel muro parasse il suono delle sue scorregge. Urla cose mentre è in bagno. In quei giorni ho imparato che lo faceva sempre quando andava; forse lanciava bestemmie su quello di prima che non aveva alzato la tavoletta. Dubito ma una varietà di cose erano possibili. Esco perché non mi va di vedere altri vecchi deretani.

Chiedo l’accendino a due tipi francesi. Mi dicono che la sera prima sono andati a una festa. Stavano appena fumando l’ultima sigaretta del mattino per poi andare a dormire. Parlo del mio caloroso benvenuto berlinese e da lì scopro che siamo compagni nella stessa sorte. Ci è toccato lo stesso culo. Le stesse urla in tedesco. Loro lo chiamano Diogene perché convinti assomigli a un filosofo greco.  Come cazzo si ricordano il volto di un filosofo greco mi è del tutto incomprensibile però come nome gli stava abbastanza azzeccato.


Muro di Berlino

Vado via per godermi la domenica berlinese ed eliminare qualsiasi immagine di culi mosci dalla testa. La pioggia estiva di quella parte d’Europa si è mescolata alle mura dei palazzi, come se un dio-architetto avesse tirato su questa città già così. Bagnata. Il cielo libero a pochi tratti. Dei monumenti mi frega il giusto. Mi sparo tutti i mercati di roba usata e ogni volta bestemmio nel vedere pezze salvate dai sacchi dell’immondizia al costo di cinquanta euro. E che cazzo. Compro una felpa, niente da impazzire ma il più irrazionale dei venditori mi aveva espresso il più ragionevole dei prezzi. 5 euro. Prendi e porta a casa.

Alla due mezza io ho già mangiato un kebab e la pioggia bagna ancora senza dare troppo fastidio. Mi trovo davanti al Berghain con la fila di mezzo chilometro. Mi passa per un attimo l’idea di mettermi in fondo poi realizzo che sono l’unico in cinquecento metri di umanità con addosso roba colorata. Ho il capello di Justin Bieber agli esordi e un enorme zaino sulla schiena con mezze delle cose più importanti della mia vita. Mi evito dunque le quattro ore di fila e l’inevitabile, nonché umiliante rimbalzo.

Torno in stanza. Sul mio letto ci trovo uno steso con le scarpe ai piedi. Nemmeno le mutande piazzate come bandiera del mio territorio lo avevano fatto desistere dal conquistarsi quel letto. È del Taiwan, ho capito solo questo. Non sono sicuro, ma forse in Taiwan indicare un letto e le proprie mutande è una grave offesa alla persona. Io faccio queste cose in maniera pacata ma quello comincia a raccogliersi tutte le sue cose e buttarsele in valigia. Mi dispiace davvero. L’origine di quel casino è il primo stronzo che si è inculato il mio letto. Siamo solo dalla parte sbagliata della storia. Quello continua a lanciare tutto nella valigia come se avessimo appena divorziato e toccava a lui andarsene di casa. Sta per abbandonare quella stanza senza mai più tornarci. In quella diatriba Italia-Taiwan, Diogene ricomincia a sbraitare cose tedesche come se la cosa risolvesse tutto. Raggiunto un numero di decibel da alta tensione, i francesi partono con urlare cose francesi per dirgli di star zitto. Un individuo non ben identificato, forse turco, si sta rigirando in un angolo di un lettino singolo preso da una crisi epilettica, da un brutto sogno o da una danza tipica. A quella matassa confusa di suoni si aggiunge così il cigolio del suo letto mezzo sfasciato. Fuori pioveva ancora.

Mi viene un sacco da ridere. Diogene. Pazzo maledetto. Ti voglio bene perché in tutta questa follia, tu sei solo un essere innocente.

 

 

 

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